domenica 11 dicembre 2011

Silent horizon


Quando entrai in acqua accarezzai la sua superficie con le mani, e mi lasciai trasportare dal suo moto.
Chiusi gli occhi e sincronizzai il mio respiro con il suo.
Il suono delle sue onde riecheggiava tra i rumori dei miei stati, ed il vento soffiò via i fogli dei miei pensieri.
Diventai parte della sua armonia.
Quello che avevo tra le mani, in quel preciso istante, era la completa e piena coscienza di me stesso, come persona, come uomo.
Trattenni il fiato e la lasciai vivere dentro di me.
Quando ripresi a respirare tornammo liberi insieme, nell'aria, e mentre mi nutrivo del suo naturale equilibrio mi lasciai travolgere dalla sua pace immensa.
E dalla mia.

lunedì 5 dicembre 2011

Black Pool Match - #3



È tutta una questione di scie. Ognuno di noi lo è.
Ognuno di noi traccia un percorso, e ne lascia una scia al passaggio. Alcuni di noi hanno una scia luminosa e breve, passano in fretta e lasciano poco tempo per la messa a fuoco.
Altri passano più lentamente, seppur la scia sia meno luminosa e brillante rimane costante nel suo tempo e si dissolve più lentamente.
E poi ci sono scie, quelle scie, che rimangono brillanti per tutto il loro lento passaggio, offuscando le altre.
Non c’è una messa a fuoco giusta, non c’è una scia migliore di altre, quello che fa la differenza è solo la nostra messa a fuoco, quello che si vuole trasmettere, quello che si vuole evidenziare, quello che si vuole dire.
Lei era una di quelle scie e questo  Press lo sapeva. Sapeva che se si fosse soffermato su quella scia avrebbe automaticamente perso tutte le altre. Ma ormai aveva deciso e solo lei valeva più di tutte le altre scie. Quella era la foto giusta per lui, la giusta messa a fuoco, l’inquadratura giusta tra altre mille.
Il pensiero gli lacerava il cervello.
Finì la sua birra e mise il suo live preferito dalla prima traccia. Echoes suonava dolcemente tra le mura del suo soggiorno lievemente illuminato. Mise una mano in tasca e tirò fuori il suo morbido pacchetto di sigarette. Infilò il dito, niente, neanche una, finite.
Infilò la mano nella tasca del giubbotto di pelle, vuota.
Cercò nel cassetto della libreria, nulla.
Infine controllò sul tavolo, nel vassoio grande vicino ai piatti del giorno prima: bollette, multe, vari memo, un paio di accendini, bracciali, anelli, una foto, uno scontrino del Burger King, le chiavi di casa, una prevendita con omaggio del Black Pool, 3 dollari e 75 cent, un plettro, una chiave sfusa, un barattolo di aspirine, una caramella al mirtillo, due gettoni per il telefono, il numero del pronto taxi, le chiavi dell’auto, un buono carburante.
Niente sigarette.
Prese la foto di Mary dal vassoio, si diresse in cucina e girò le dita nel posacenere pieno in cerca di un mozzicone lasciato a metà. Raddrizzò la cicca con le dita e diede fuoco.
Dopo un paio di avidi tiri il mozzicone finì, e diventò rovente tra le dita.
Aprì il frigo e prese un’altra birra. Tagliò un pezzo di stagnola dal cassetto della cucina e si mise sul divano.
Dal giubbotto di pelle tirò fuori la sua pipa di vetro, la pulì con un pezzo di fil di ferro che aveva sul tavolino davanti al divano. Poi dal portafogli prese un incarto di cellophane che conteneva una pallina d’oppio, la mise sul foglio di stagnola e diede fuoco. Non appena la pallina si riscaldò iniziò ad emettere un denso fumo bianco, Press mise la pipa in bocca e tirò più volte fino a far arrivare il fumo nei polmoni. Lo trattene a lungo e lo sputò fuori lentamente. Lasciò tutto sul tavolino e si sdraiò sul divano, con la foto di Mary tra le dita. Chiuse gli occhi e si lasciò andare tra i riff elettrici della sua band.
Il suo cervello lo portò nel mezzo di un’autostrada. La pioggia scendeva velocemente ed i lampioni illuminavano appena le carreggiate con un lieve cono di luce ambrata.
Era solo, nel mezzo della linea tratteggiata. Le macchine sfrecciavano veloci ed i suoni dei clacson sparivano in un attimo tra mille echi.
L’acqua scendeva sopra la sua testa, lungo il suo giubbotto di pelle, fino alle dita delle sue mani. Nella destra teneva stretta la sua 38, con un solo colpo, perché non aveva bisogno di altro. Un colpo, un solo colpo, e avrebbe messo fine a tutti i suoi pensieri. Un solo colpo e sarebbe stato finalmente libero, un solo colpo e avrebbe ricominciato a respirare. Un solo colpo per sotterrare tutti i suoi problemi, un solo colpo per la sua più grande ossessione.
Nox gliel’ aveva portata via.
Se non poteva essere sua, non doveva essere di nessun’altro.
Un solo colpo, per Mary.

giovedì 1 dicembre 2011

Money


C'erano da montare 34 porte in un giorno, complete di mostre e ferramenta.
Partimmo la mattina presto in tre, alle 8 già avevamo i ferri in mano, ce ne andammo alle 8 di sera.
Il giorno dopo tornai da solo per finire.
La mia attrezzatura: cassetta degli attrezzi, cassetta delle viti, avvitatore berner con mandrino da 14, avvitatorino berner, trapano makita, tassellatore makita, seghetto alternativo makita, multifunzione berner, circolare da banco, troncatrice bosch, zeppe e spessori, prolunghe, silicone a profusione.
Con tutto quello che ho potrei scatenare una guerra, e se mi fermano con il mio coltellino da funghi capace che rompono il cazzo.
Iniziai a lavorare di mattina presto, una pausa caffè intorno alle 10 e poi giù di continuo.
In lontananza si avvicinò un operaio con un caffè in mano.
"Tieni"
"Grazie amico, ma che ore sono"
"Le 2, non mangi?"
"No" gli faccio "ormai no, prendo il caffè e mi fumo una sigaretta, non voglio andare via tardi come ieri...Tu da dove vieni"
"Romania" mi risponde con tono basso
"Romania dove"
"Sibiu"
"Sono stato in Romania diversi mesi, per lavoro. Ti manca il tuo paese?"
"Si guadagna troppo poco, 300, 500"
"Dai vieni fuori, fumiamo una sigaretta seduti"
"No, non c'è tempo"
Tornò a lavorare subito, mentre io mi presi un minuto su una sedia di fuori.
Misi Money in sottofondo dallo stereo della macchina, e accesi la mia sigaretta.
Era una bellissima giornata, cielo sereno, gli alberi erano immobili, non tirava un filo di vento, si stava in felpa.
Davanti a me passò una giovane mamma con la bambina a seguito. Portava un passeggino e dentro c'era una cartella, la figlia camminava vicino a lei con una stella di natale tra le mani.
La donna mentre passò mi diede uno sguardo e sorrise, io contraccambiai.
Mentre andavano via osservai l'allegro camminare della bambina, tutta presa da quella stella fatta in classe.
Pensai alla favolosa scopata della notte prima, ai suoi seni duri e ai suoi sospiri, a quei ricci che toccavano il mio viso, alle contrazioni del suo stomaco sotto le mie mani, ai suoi occhi sbarrati che mi fissavano per poi richiudersi piano, alla sua schiena nuda.
Il sole stava tramontando ed io avevo ancora tanto lavoro da fare.
Come passano in fretta le giornate.

domenica 9 ottobre 2011

Mine






Ti sento, nell'aria densa di fumo.
Ti vedo, nella polvere alzata dai miei passi.
Sarei vento a muoverti se fossi duna,
sarei edera a coprirti se fossi muro,
sarei eco a dissolvere se fossi suono
e lentamente sbiadiresti se fossi dipinto a terra sotto le mie gocce.
Questo sono io e questo lo so solo io.
Nell'espressione del tuo minimo, ho impiegato il massimo del mio carico.
E tu?

mercoledì 31 agosto 2011

Drive

Quando il disco rosso scese sotto l'orizzonte dalla spiaggia si levò un applauso, tutti i presenti, chi ai tavolini, chi sui teli, chi al bancone, chi intorno al chiosco, chi sulla sabbia, nessun escluso, aspettavano quel preciso istante da minuti, con lo sguardo fisso in quel punto lontano, quando solo per pochi istanti durante il giorno la stella a noi più vicina si lascia ammirare nei suoi ultimi riflessi per concedere al buio il suo spazio ancora una volta. Il nostro era un ringraziamento, il sole faceva quel lavoro da oltre 4 miliardi di anni senza un giorno di riposo, e lo faceva ancora da dio. Mentre una parte di me era seduta a godersi lo spettacolo con una birra in mano, l'altra metà correva verso l'ultimo spicchio di luce, correva con tutta l'energia in corpo, allungando l'indice della mano fino a sfiorare quell'intenso calore rosso, ma mai abbastanza veloce, mai abbastanza vicino, da poterla toccare.
E' finito un altro giorno, come ieri, come domani.
C'era un'atmosfera così serena nell'aria, le persone sorridevano, condividevano, due bambini tiravano la sabbia in aria, non appena la manciata perdeva spunto la gravità vinceva e disperdeva i granelli nell'aria, che passavano da insieme a singoli verso terra, regalandogli un sorriso.
Sorridevo anch'io, ma non ero sereno, uno strano senso d'angoscia mi prendeva allo stomaco, di difficile lettura, che tentavo di mandar giù con la mia birra gelida.
Ma una parte di me lo sapeva, smise di correre e si voltò, verso di me, sorridendo.
Ed io contraccambiai.
L'ultima diffusa di luce tinse l'orizzonte di viola, lasciando il palco alle prime stelle.
L'intermittenza della loro luce è direttamente proporzionale alla loro distanza, così mi dissero in quinto liceo.
Si alzò un vento tiepido e sulle note di una canzone dei R.E.M. mi incamminai verso la macchina.
Quando girai il quadro i numeri sul contachilometri mi riportarono ad un giorno d'estate passato lassù, tra i miei sentieri, con un amico, a cogliere i migliori frutti di quella terra per farne un liquore.
La libertà, seduto su quelle creste a vivere il tempo.
Magari un domani apriremo una nostra bottiglia vecchia di anni, e nel riassaporare quei profumi rideremo, scoprendoci immutati, magari.
Ma i giorni passano, ed ogni giorno corro verso il sole che arriva sempre un attimo prima, per quanto veloce sia, non lo sono mai abbastanza, ed io sorrido.
E adesso corri, corri ancora, figlio di puttana, corri.
E la libertà, dov'è.


domenica 10 luglio 2011

Buena vista asocial club


Odio la domenica, l'ho sempre odiata.
Ogni domenica è diversa ma sempre uguale nella sostanza.
E' una donna che ti gira intorno ma alla fine non te la da, non te la vuole dare.
Il venerdì sera parti sempre con il piede giusto, lei ammicca e pensi di farcela.
Il sabato ti senti un leone e già te la immagini, la sera pensi a come fartela, a come venire e già ti senti sudato.
Fantastica, che fantastica serata, che fantastica bevuta, che sbronza fantastica, che fantastica scopata.
Un mare di gente si è riversato al chiosco di Ponte Tazio come un'onda anomala.
Io sono nato a pochi passi da quì, nel cuore di Montesacro.
Mi ricordo che il chiosco c'è sempre stato, così come l'orologiaio, ma non era aperto di sera, e serviva solo caffè, peroncini e prosecco di bassa qualità.
All'epoca non bevevo nulla di tutto ciò, non arrivavo neanche al bancone, passavo ai giardinetti e mangiavo mille lire di pizza bianca.
Giudicavo le persone dal culo, era la prima cosa che osservavo, anche perchè stava ad altezza giusta.
Oggi che sono passati diversi anni, con qualche pelo in più e diversi cm in più, continuo a vedere più culi che facce in giro, è una questione di attitudine ma è anche il mondo ad essere cambiato, noi compresi, diamo molto di più le spalle a molte persone in più di prima.
Siamo seduti vicino dei tavolini all' aperto e beviamo tutti qualcosa, tutti hanno qualcosa da dire e da mostrare.
Più birre che altro, c'è chi preferisce un bicchiere di vino bianco, c'è chi si sposta sul mojito, forse per fare prima, c'è anche qualche puritano in giro che resiste bevendo coca cola.
La birra è una scelta anche etica, non posso attaccarmi al vino da subito e sperare che il mio buon senso del costume prevalga nelle conversazioni sui fumi dell'alcol che già hanno infestato il mio sangue, mettendo in moto piccoli omini arancioni armati di trapani battenti e martelli pneumatici che mi pizzicano il cervello.
Vada così per la birra, mi consente una lettura più veloce e scorrevole, ma stasera non ho voglia di leggere, scelgo una via più vanitosa e colgo i lati positivi dei passanti.
E' più facile scoprire una bugia sul culo di una persona che sul suo viso, anche perchè i bugiardi aumentano in modo esponenziale e diventano sempre più abili, a volte è difficile essere obiettivi.
La sirena di un'ambulanza passa veloce e mette un attimo in pausa questa confezione di tempo libero a portar via.
Vedo un sacco di sorrisi e di risate in uno scambio equo di tempo al rallentatore, sembra un'atmosfera piacevole, un attimo prima ero nel vivo di una conversazione, un attimo dopo faccio da spettatore e mi giro intorno a cercare con lo sguardo le migliori fotografie di ogni istante. Bicchieri pieni che tornano vuoti per essere riempiti di nuovo, prevendite e biglietti d'entrata in locali con open bar, omaggi e scontrini che si bagnano sotto le consumazioni, posacenere che traboccano, ciotoline piene di noccioline ed olive verdi, cellulari di ogni tipo che ricevono messaggi di ogni tipo, chiavi di casa, della macchina, del garage, del portone d'entrata, di quello dell'atrio, di quello d'uscita, della cassetta postale, della cantina, del lucchetto, del motorino...più passa il tempo più aumenta il numero di chiavi nel mazzo, più aumenta il mazzo che ci facciamo per averne sempre di più. Più passa il tempo, più porte ci sono tra noi e gli altri, più ci chiudiamo dentro, più diventa difficile uscire fuori. Sempre più cose, sempre più barriere, sempre meno verità.
Un attimo prima sorrido, un attimo dopo divento serio, un attimo prima dico stronzate, un attimo dopo penso e mi isolo, un attimo prima sono presente e sereno, l'attimo dopo sono depresso. I tempi si accorciano, gli intervalli diminuiscono, si corre sempre più veloce.
Al rosso si tiene la prima, al verde si lascia la frizione e si scappa. Le persone sono sempre di più e vanno sempre più svelte in spazi sempre più stretti.
Scivola tutto via ben impacchettato in confezioni di spazio di plastica in monodose.
Per un attimo mi sento soffocare, ma un attimo dopo mi piace, mi alzo in piedi di botto e me la prendo con uno in mezzo al branco, lo indico ed urlo
"Tu! si tu, figlio di puttana, proprio tu...ora vengo lì a darti fuoco e sulla brace delle tue ossa mi cucinerò il tuo cuore, bastardo. E poi mangerò anche voi, tutti voi, cani bastardi."
Intorno a me ci sono solo batterie e chitarre elettriche che suonano da sole, e la gente scappa, di corsa, perchè c'è un pazzo in piazza, un pazzo omicida.
Mi viene sul viso uno strano sorriso e la ragazza che mi sta accanto mi chiede che ho da ridere, da solo tra l'altro.
Poi una commessa del chiosco mi chiede se può portare via il mio bicchiere vuoto, per riempirlo di nuovo, la vita torna in play con tutta la sua normalità, in un attimo, e torno sulla terra, un attimo dopo.
Inizio a digerire le birre che bevo, mi sento un po' in affanno, sudo, sento un caldo pazzesco, la testa diventa pesante ed i sbalzi di umore iniziano ad allinearsi sul cupo, ho sempre meno interesse ad ascoltare quello che si dice e sempre meno a dire la mia, un impulso raggiunge lentamente la mia testa e mi suggerisce che questo venerdì sera può finire quì.
Mi avvio verso casa, la serata mi ha soddisfatto, molti amici, qualche stronzata, qualche progetto per domani che è già sabato, ma io vorrei tanto che il tempo si fermasse per un po' stasera, ad osservare ancora un attimo la mia città in fermento per la settimana che non fa in tempo a finire che già rinizia, in un attimo.
La mia Roma sempre tutta di corsa, piena di semafori e di bar, con i caffè al vetro ed i volantini sulle auto, con le fontanelle otturate, con i marciapiedi stretti, piena di taxi bianchi, con i sanpietrini, con lo ztl, con le fontane più belle del mondo, le chiese più belle del mondo, i musei più belli del mondo, i resti più belli del mondo, con la vita bella e il caro vita, con tanta gente che non si conosce e sta insieme uguale, con il suo raccordo sempre pieno, soprattutto la domenica sera.
Già, il rientro, il fine settimana, maledetta afosa domenica.
Rientro a casa e mi fumo un sigaro in balcone, la luna è bassa e tende al rossastro.
Ma si andiamo a dormire, tanto domani è sabato.

lunedì 13 giugno 2011

Monologo al di sopra dei massimi sistemi



Quando entrai in casa c’era un silenzio appena smosso dal brusio dei pochi presenti alla cena.
La casa era accogliente e aveva un giardino, Giulia aveva sistemato fuori dei tavolini ed un gazebo, vicino il barbecue.
Le do il vino e le consiglio di metterlo in frigo, lei ringrazia e mi invita a raggiungere gli altri fuori.
Ci sono degli ulivi, ed i fiori intorno alle siepi di alloro sono molto curati, l’erba è tagliata molto corta, stile inglese e ci sono molti gerani. C’è anche una pianta di rosmarino, amo il rosmarino.
Mentre mi presento, scordando di colpo il nome di chi ho davanti ogni volta, vengo rapito da una figura femminile, che in realtà è un uomo, per la scelta forzata delle sue scarpe rosse, che sono la ciliegina del suo abbigliamento.
Ad occhio e croce siamo una dozzina.
Ci sono diverse donne, che in realtà sono uomini, e diversi uomini, che in realtà sono donne, gli unici ad essere quello che abbiamo in mezzo alle gambe siamo io e la mia amica, che è un’amica della padrona di casa, il che spiega la mia presenza alla cena di compleanno di Giulia.
Ci servono da bere, l’uomo (donna) di Giulia fa da maggiordomo(a), scelgo del vino bianco, lo accompagno con delle bruschette al pomodoro, troppo aglio (odio l’aglio, forse è l’unica cosa che non mangio).
Iniziano le domande.
“A Roberto piace fare le fotografie”  la gente spesso ha questo modo elegante di denigrare quello che fai che loro non fanno, spesso perché non sanno fare.
“Ah, ma che bravo” dice uno/a
“Lo dici sulla fiducia o hai visto qualche foto?” rispondo,
“No vabbè, è perché la fotografia è una bella cosa, non da tutti”
“Anche sterminare ebrei non è da tutti, non per questo credo che Hitler sia stato bravo, almeno da un punto di vista etico, ma grazie per la fiducia” sorrido, mi accorgo a fine frase di essere stato un po’ drastico, ma lei la prende bene.
“Cosa ti piace fotografare?” dice un altro,
“Difficile a dirsi sai, potrei fare la figura del filosofo che non sono ma se vuoi una risposta sincera te lo dico. Ricerco la verità, provando a renderle il massimo dell’ estetica. La verità è nell’arte e nella bellezza e spesso le trovo entrambe nella natura.”
“Che bello, bravo, adoro i paesaggi!” (non ha capito)
L’intervista continua, e cercando di non essere scortese continuo a rispondere, ma prima che mi annoi trovo una via d’uscita nell’osservare le manie dei presenti.
Non è che sia scortese o presuntuoso, è questa voglia di apparire interessati e amichevoli a tutti i costi che mi abbrutisce un po’, come a volermi far sentire a mio agio per forza, cosa assolutamente possibile con un po’ di silenzio, comunque…
Il tipo/a accanto a me ha l’ossessione delle mani, tra una domanda ed una risposta se le guarda di continuo, passa le dita sulle pellicine, controlla lo smalto, si assicura che siano come vuole.
Più giù, un altro/a si aggiusta di continuo i pantaloni, ha le gambe accavallate e controlla che il risvolto non si incastri sulle scarpe (lucidate a dovere), con le mani afferra un lato dei pantaloni per far scendere a dovere la stiratura sul cuoio nero.
Ma è il terzo personaggio su cui mi concentro di più.
Ha una camicia, i primi due bottoni sono slacciati per far notare il suo ciondolo.
Una collana d’argento, molto bella, tiene al collo una pietra blu, molto particolare, con delle iniziali che non leggo.
Si sistema con le mani la pietra di continuo, in modo che stia sempre al centro della camicia per renderla il più visibile possibile.
Non  trascura neanche il suo orologio, che con fare da maestro porta sempre il quadrante al centro del polso.
Gli vorrei chiedere delle iniziali, ma poi avrei dato scopo alla sua serata e di colpo perdo interesse.
Mangiamo, carne alla brace e patate al forno con delle verdure, davvero buone, faccio i complimenti alla cuoca/o e mi riverso da bere, rischio l’assenteismo, ma ne sono consapevole e me ne fotto.
La serata continua, gli esperti di bondage iniziano a legare altri amanti di bondage e tutti sono attenti a seguire quel che segue (uno/a lega con le corde uno/a).
Cristo, cosa cazzo ci faccio qui, sorrido, e mi riverso da bere.
Dopo aver appurato che non ci sia neanche un culo degno di scopata, entro nel limbo, come una mia vecchia cara amica, nel limbo si sta bene, a volte.
Cammino in un prato verso sera, la luce è calda e si respira una gran pace.
Ho con me una bottiglia di genepi, il mio genepi.
Lo agito, in modo da far rimescolare la posa al liquore.
Il grido di un falco riecheggia nella valle.
Apro la bottiglia e la porto al naso, il suo intenso profumo mi entra nei polmoni infuocando il torace, mi sento a casa.
Inclino la bottiglia e lascio cadere un po’ di liquore tra i fili d’erba.
Il primo goccio è per la terra.

domenica 22 maggio 2011

Racchiuso tra quei passi


Ricordo la luce accecante del sole riflesso sulla ghiaia bianca dei sentieri.
Il profumo delle more tra i rovi, il loro colore così scuro, nascosto tra la fitta rete di spine.
Ricordo le salite, in un alternarsi di orizzonti che cambiavano man mano durante il percorso, scoprendone di nuovi.
Salutavo la mia ombra di continuo, divertito nel vederla altissima al tramonto.
Ricordo il suono continuo dei passi, dei talloni che affondavano tra l’erba fitta,
il canto intermittente dei grilli, il soffio costante del vento.
L’acqua sgorgava dalla sorgente e si ramificava in tantissimi rivoli che irroravano la terra.
Ricordo un sorriso.
Per quante volte io rallentassi durante il percorso, rapito dallo svolgersi della vita intorno, con lo sguardo spesso immerso nel lento movimento ipnotico delle nuvole nel cielo, lui era sempre lì, a pochi passi da me, fermo ad aspettarmi, con un sorriso.
Il senso della vita era tutto lì, racchiuso tra quei passi.
Ad ogni orizzonte, ogni volta che avessi rialzato gli occhi verso il sentiero, io sapevo che lui era lì, nella stessa posizione, con il corpo verso la vetta, ma immobile con lo sguardo verso di me, ad attendermi, sempre con un sorriso.

Nero solubile


Indelebile, scivola via come gocce di catrame,
fonde le immagini condensando le emozioni.
Indifferente, come lo stato nebbioso che si posa sulle parole che non prendono forma.
Invisibile, come i pensieri che grandinano sulle pagine,
sciogliendosi nei ricordi.
Inutile,  come essere qui, adesso.
Lo stomaco non si provoca, si attende.
L’eleganza non ha peso,
la mente ha un ruolo marginale.
Indelebile, come quando ho macchiato i tuoi pensieri,
di nero solubile, tra le tue vanità.

lunedì 11 aprile 2011

Verde


Portami Verde tra i sentieri imbattuti,
sciogli di Nero i miei freddi pensieri.
Lasciami ancora tra i dorsali gelati,
cantami Nero tra i miei monti seduti.

Nero


Io vivo,
nella terra scura
e nel vento tiepido.
Vivo in ogni sua forma,
sono in ogni sua parte
e non sono nulla.
In ogni alba rinasco
ed ogni tramonto mi veste di nuova luce.
Dalla terra vengo
e alla terra torno ogni volta,
per essere di nuovo valanga a travolgere ogni tuo pensiero,
per essere di nuovo terremoto a scuotere ogni forma di equilibrio.
Di tutte i percorsi fatti
quello che porta alla verità rimane tutt'ora inesplorato.
Ma la verità è nella bellezza,
la verità è nell'arte.
Perché non mentono mai.
Ma non mi fermo.
L'acqua tornerà nera 
e sarà di nuovo tempesta
e sarò ancora uragano a mescolare,
sottile come la luce per tagliare 
i fili rimasti di ogni legame.
E tu non mi aspettare,
non tornerò.


lunedì 21 marzo 2011

Forse



Non per me.
Il suono lontano di un piano in solitudine,
ma presente come fosse qui.
Non per me.
Il cono di luce ambrato di un lampione sull’asfalto bagnato,
compagnia ad ore di carta straccia dimenticata sulle panchine.
Non per me.
La vernice che colora le dita,
rifugio stanco di residui di vita dipinta sul sorriso di un clown.
Non per me.
L’aria calda che diventa corrente
e chiude la parentesi di un ma, diventando punto.
Non per me.
La lampo abituata a chiudere il violino nella stoffa rossa,
carico vitale di un artista che alla strada ha detto di si.
Non per me.
Le scie colorate della città,
che statica rimane nell’obbiettivo di una lunga esposizione.
Non per me.
La linea curva dell’orizzonte,
che senza passi ti precede e ferma l’inutile corsa, rimanendo distante.
Non per me.
Un chilo in più sulle spalle ed il bluff della discesa,
inutile scorciatoia della via più veloce, ma chiusa.
Non per me.
La luce bianca della luna piena,
silenziosa manifestazione d’orgoglio nel nero fermento della notte.
Non per me.
L’ora di ritardo che anestetizza la partenza,
chiaro rimando ad una scelta priva di coraggio.
Non per me.
Vestirei i tuoi pensieri con pelle nuova,
per inalterarne la superficie e lasciarli vivere sul tuo viso.
Non per me.
Asciugherei le tue mani dalla grandine del tempo,
che lisce darebbero ancora coraggio al presente.
Non per me.
Inseguirei sorridendo il mio nemico,
dandogli ancora un ultimo tentativo per rimanere tale.
Non per me.
Mi vestirei ancora da me,
invulnerabile attesa alla risposta di ogni sera, non così convincente.
Non per me.
Rimanderei in circolo il mio fluido migliore,
e ad ingranaggio viziato darei ancora vita, sentendone scopo.
Non per me.
Sarei vento a ripulire i tuoi passi silenziosi,
di feltro sussurrati nel rumore dei miei stati.
Non per me.
Sarei mare pronto a ripetersi all’infinito,
a levigare ogni spigolo restituendolo al tatto.
Non per me.
Sarei fuoco a fondere la più preziosa delle tue pietre,
rendendomi l’unica.
Non per me.
Sarei terra scura a sfondo nei tuoi panorami,
presente stabile di ogni tuo percorso.
Non per me.
Traccerei cerchi nel cielo,
insieme che ci rende centro ed immagine per non distinguere inizio e fine.
Non per me.
Ma per te.
Forse.


domenica 6 marzo 2011

Come se


Come se il tempo fosse uno stato d’animo assente e lontano.
Come se le pieghe fossero piani e le curve prive di prospettiva.
Come se non ci fossero riflessi
ed i specchi non fossero immagine di quello che hanno davanti,
ma uno spazio che continua da quello che hanno dietro.
Come non ci fosse gravità.
Come se la sabbia volasse ed il cielo fosse marea a terra
ed il mare non avesse onde e fosse bianco privo di moto.
Come se il suono non avesse udito
e le corde fossero tutte libere e potabili.
Come se l’acqua fosse sporca e non avessi sete
e le crepe non fossero conseguenza di una sterile aridità
ma fondamenta fertili di una vita priva di conversione.
Come se lo strappo cucisse e non fosse punto di rottura.
Come non ci fosse più porosità
ed il liquidi galleggiassero come sul vetro.
Come non ci fossero frammenti
ma solo identità distinte, coscienti e logiche.
Come se le pagine rimanessero bianche
e non ci fossero pensieri a renderle merito.
Come se le tue labbra fossero spine
ed i tuoi capelli fili d’acciaio legati ai miei tendini viziati
ed i tuoi occhi fossero argento vivo che parlano di ciò che voglio
e le tue parole fossero solo verbo all’infinito
ed il tuo sangue fosse nero inchiostro nei miei desideri
e la tua pelle fosse solo fumo scuro tra le mie avide dita
e l’aria che respiri di piombo freddo sulla mia bocca
e non ci fosse fiato sotto sforzo,
ma solo polvere maleducata che si posa dove vuole,
senza alcuna contaminazione.
Come se bruciassi ancora,
come me.
Come fossi ad un passo.
Come se il problema fossi tu.

Muro

Questo discorso non è del tutto remunerativo, quindi, per forza di cose, adesso, troverò una soluzione a questo problema, se così si può chiamare.
La libreria in questione deve essere sollevata da terra di circa 60 cm.
Userò le barre d’alluminio per fissarla al muro, con dei tasselli da 12, 15 per barra, per un totale di 45 tasselli.
Fisserò su base e cappello le barre d’ancoraggio, seguendo la venatura del legno, in modo da non spaccare.
Ho una profondità sufficiente per usare viti 5x50, mi garantiranno un ancoraggio sicuro e pulito.
Considerando che un singolo tassello dovrebbe sopportare uno sforzo di circa 20 kg…il peso sarà minore del loro massimo carico consentito.
Porterò dei spessori di diversi mm per assecondare le possibili pendenze della parete ed arginare così il fuori squadro.
Una livella sarà necessaria.

R “smettila di fissarmi, non ho tempo ora”
B “potremmo parlare dell’onda d’urto”

Non porterò la resina, anche se il muro non dov’esse essere perfetto, le possibilità che su 15 tasselli 5 non tengano mi garantirebbero comunque l’ancoraggio.

B “o vuoi che ti illustri semplici nozioni di fisica di base, così da buttarlo giù quel muro”
R “non è di quel muro che sto parlando”

Arrotondando per difetto, non devo scendere sotto gli 8 tasselli per barra.

B “ma è quello il problema, o no…”
R “vorrei sapere cosa cazzo ti ridi. Lasciami lavorare”
B “idiota, sei tu che non ti lasci lavorare”
R “sei tu che mi stai pizzicando il cervello”

Porterò il frullino, per tagliare le barre a misura e nasconderle così dietro la struttura.
Le barre non mi daranno possibilità di regolazione, quindi partirò con quelle a muro, fissandole a bolla, se il soffitto dov’esse essere irregolare recupereremo con le mostre.
È un compromesso da accettare.

B “mi dispiace ragazzo, la vita non è un lavoro che si impara vivendo. Tu puoi impararti vivendo, ma non esiste callo.
È molto semplice: azione – reazione, tutto qua.”
R “insomma che cazzo vuoi, eh? Lasciamo perdere.”

Prepariamo gli attrezzi.

B “sai qual’è il miglior antidoto al veleno? Altro veleno.
Lo stesso veleno.
Ti saluto bello.”

martedì 1 marzo 2011

Alchimia dell'olfatto




"Aspetta qui, vado a versare l'assegno, se arrivano i vigili sposta il motorino"
"Ok"
Piove.
La pioggia cambia i normali atteggiamenti di tutte le persone, li accentua.
Una ragazza passa con una borsa sulla testa, non vuole che quella goccia di pioggia fredda vada a finire proprio lì, sul collo, scendendo tra le scapole sulla schiena, dandoti i brividi.
Un uomo di mezza età passa con aria da fare, la sua 24ore di pelle marrone, il suo cappotto in tinta (non a caso) ed un ombrello forse da una 50ina di €...non ha un viso rilassato.
Tre operai attraversano il vicolo per andare ad un bar, quella sembra l'aria, non curanti della pioggia, in abiti da lavoro, sporchi di gesso e stucco, vernice sulle scarpe, sorridenti.
Un motorino passa a velocità tra i sampietrini, i passanti al suo passaggio si accostano al ciglio della strada, per paura di essere annaffiati dai schizzi delle pozzanghere.
Un auto blu.
Una commessa pulisce con cura l'entrata del negozio in marmo bianco, non ci devono essere orme sull'entrata.
Non ci sono clienti all'interno, un uomo ben vestito, probabilmente il principale, le indica il vetro, forse ha visto un alone, meglio pulirlo, l'immagine è tutto.
Un ragazzo parla al cellulare, capisco solo poche parole, ma "esonero" mi di dice che è uno studente, avrà circa 25 anni, diventerà commercialista credo.
L'acqua continua a scendere, bagna la parte alta dei palazzi, scivola sulle sue facciate formando tanti rivoli verticali, che alimentano pozzanghere.
Là dove incontra un ostacolo gira, entra nelle crepe dei muri gonfiandoli, allarga il legno delle persiane e intacca i cancelletti in ferro, che col tempo arrugginiscono.
Inevitabile consuetudine del tempo.
Via delle Copelle 24.
All'improvviso, le finestre dei palazzi si girano su se stesse, mostrando al loro posto dell'erba verde, anche i mattoni degli edifici, anche i sampietrini, anche la facciata dei negozi, le macchine, i passanti, le edicole, le panchine, i tavolini, le insegne, i manifesti, i lampioni,  tutto, ogni singola parte si capovolge, cambia facciata come un cubo di rubik, sempre più velocemente, mostrandomi la terra, la mia terra, piena di rigogliosa natura, sotto ad un cielo terzo, blu.
In un istante, tutto sembra rallentato.
Sento il profumo del suo vento, ed io che ci cammino dentro.
"Eccomi, m'hanno fatto aspettà un cifra, sbrighiamoci che dobbiamo tornare in falegnameria in 20 minuti!"
Trattienila.
"Ok"
Trattienila.
"Ogni volta pe cambià un assegno le ore"
Trattienila, cerca un modo per non lasciarla, conta, tienila nello stomaco.
Via delle Copelle 24. 24.
24, le ore del giorno
23, come quelle in cui starei sveglio
22, i miei anni sereni
21, i centesimi dell'ultima telefonata
20, come le sigarette che fumavo
19, il mio interno
18, illusione della libertà, tanto attesa
17, l'ora di chiusura
16, se dici ma non fai
15, i sigari che fumo
14, le volte che ho visto Taxi Driver
13, il mio vecchio odiato turno al mac
12, le persone che ho visto camminare fuori la banca
11, i mesi che avevamo passato insieme
10, come le dita con cui sfioravo i tuoi capelli
9, i semafori incontrati fin ora
8, la palla da biliardo più bella, e la più difficile
7, la sveglia
6, le alternative alla solita strada
5, i minuti che ho impiegato a scrivere
4, i giorni che aspetto da lunedì
3, l'ossessione
2, me
1, come te...come nessuno
0, le volte che ti ho detto che si poteva provare, magari, ma che non ti ho detto.
0, come il cerchio, senza inizio, senza fine.
0, non c'è domanda più inutile se non si vuole la risposta.
0 perchè.
Trattienila.

lunedì 28 febbraio 2011

False Flags















Il fumo sale lentamente tra le mie dita,
si leva in alto ed accarezza la gialla luce della lampada
riacquista calore e sale di nuovo, sul soffitto
si avvolge elegantemente per poi spogliarsi e ricadere su se stesso in tanti cerchi concentrici.
Il respiro è quello sicuro e fiero di chi sa cosa attende.
Non si farà attendere a lungo, sento il suono del suo respiro.
Il buco nero, uno spazio senza luce, che divora tempo e materia.
La sua visione conferma il mio sorriso, ogni aspettativa non è stata delusa.
Ti stavo aspettando.
I suoi cerchi sono lame di ghiaccio salato che mi toccano la pelle.
Il suoi venti sono mille lingue di gatto che mi leccano l'anima.
"È ora di andare?"
"Andrò da solo. Tu versami due dita, ci metterò un attimo..."
È ghiacciato, ma brucia come il fuoco.
Avido come il ghiaccio.
Avido come il fuoco.

lunedì 21 febbraio 2011

Tra le mie domande e il volo dell'aquila


Esistono imperativi nell’arte?
Esiste un’obbiettività nell’arte?
Esiste un’oggettività nella bellezza?
Ha uno scopo fine a se stessa?
Esiste un giudizio universale?
Nasciamo davvero innocenti?
Se l’arte è infinita anche l’ispirazione da cui scaturisce lo è?
Quanto tempo impieghiamo per adattarci ad una nuova forma d’ispirazione più fertile?
È più remunerativo il prodotto d’arte che resiste al tempo o il percorso che ci ha condotto ad esso che con il tempo sfuma nei ricordi?
Esiste un modo per tenere costante uno stato d’arte degno di sua produzione?
La contestazione è sempre sintomo d’innovazione?
L’incomprensione deriva davvero dall’ignoranza?
L’ombra è un prodotto della luce o viceversa?
Sentirsi appagati facendo del bene fa di noi degli altruisti o è un modo opportunista per soddisfare il nostro egoismo?
Lo scopo della vita è davvero altra vita?
Se di fronte all’arte siamo tutti uguali perché la somma di consensi supera un dissenso?
L’amore può alterare il percorso del gusto?
La bellezza può essere espressa in parole o è più significativo il silenzio?
Il suono del vento arriva a tutti allo stesso modo?
La visione serena del passato coincide con una negatività del presente o è solo un alibi per mascherare la nostra inadeguatezza al tempo?
L’evoluzione fa parte di un ciclo positivo o negativo?
La cultura ci rende liberi o schiavi?
Se il sapere ci rende infelici è meglio l’ignoranza?
La percezione coincide con una maggiore sensibilità?
La pazzia è uno stato privo di ragione o il suo stadio ultimo?
Le scelte implicano sempre una rinuncia?
Siamo davvero il risultato delle nostre scelte?
Esiste un uomo libero?
Che fondamenta ha la libertà?
Se l’attrazione è un prodotto chimico esiste una chimica per tenerlo sotto controllo?
Quando si desidera qualcosa si è di fatto incompleti?
Quante altre parole verranno inventate?
Legalizzeranno anche i sentimenti?
La censura è un prodotto democratico?
Il comun senso del buon costume è un risultato statistico borghese?
Chi ha definito la ragione?
Il lavoro è l’anestetico della mente?
L’equilibrio è una momentanea assenza di gravità?
A quale equilibrio risponde la bellezza?
È più remunerativa la vendetta o il perdono?
L’idolo è l’oppio per la realtà?

Il volo dell’aquila è espressione massima d’eleganza.
La sua è completezza, è armonia, purezza.
Il sua bellezza trova scopo nel suo esistere.
Il volo dell’aquila è puro equilibrio.
Il volo dell’aquila è pura bellezza.
Il volo dell’aquila è pura arte.

domenica 20 febbraio 2011

Hush


Non c'è alcun tipo di redenzione nei miei percorsi quassù.
E' soltanto un avido divenire,
fatto di vento gelido e silenzio.
Tu che mi parli di caos e di disordine.
Ma questo è ordine, l'equilibrio dei moti e dell'essere, che noi non perdiamo occasione di minare.
Mi da tutto, senza pretendere nulla in cambio.
Riflesso nello specchio c'è un uomo con la barba che fuma un sigaro, ha un sorriso che sembra venir da lontanto.
"Bentornato, mi sei mancato"
"Non sono mai andato via"
La montagna è mia madre,
non mi riprenderà mai nel suo ventre.

mercoledì 9 febbraio 2011

Un giorno di ordinaria fatica

"Devi portare il tavolo alla Signora Narcisi, l'ho chiamata che è pronto. Alle 4.30"
"Ok" risposi.
Mi seccava, alle 5 staccavo e sapevo che non avrei fatto in tempo. Questo voleva dire che ci avrei messo quel che ci avrei messo, ma in mezz'ora era improbabile...Arrivare a P.za Bologna da Viale Libia, consegnare un tavolo (doppio, quindi due viaggi) e tornare in mezz'ora era fuori discussione.
Fabio lo sapeva bene, per questo mi mandò all'ultimo minuto, da queste parti gli straordinari non si pagano, non mezz'ora, che vuoi, scusa, mezz'ora di straordinario? Ti vuoi attaccare a 5€? Sarai mica così pulciaro?
Io no, forse te, che me li rubi, ma tienili pure, non ci faccio nulla. Non sono i 5€, è il tempo che mi porti via, che mi togli, quello a cui tengo.
Presi il tavolo e lo legai con i morsetti al portapacchi, e mi incamminai.
Poco traffico per fortuna, arrivai in 10 minuti.
Posteggiai su un'isola di traffico, e misi le 4 frecce.
Il tavolo era di quelli assemblati, quindi andava portato metà alla volta, non solo per questioni d'ingombro (nell'ascensore comunque non entrava, e le scale erano strette) ma anche per il peso.
Un tavolo massello può arrivare a pesare anche una 70ina di chili...
Lasciai legata una metà del tavolo al portapacchi, e sfilai l'altra metà direttamente sulla spalla sinistra, proprio a metà del piano, per dividere il peso ed essere bilanciato.
Arrivai al citofono. Una palazzina d'epoca di tre piani. Narcisi era scritto su tutte e tre le caselle del citofono.
Se la devono passar male questi Narcisi, pensai, e citofonai in mezzo, al 2° piano.
"Si?"
"Il falegname signora, sono venuto a consegnare il tavolo"
"Ah si, è al 3° piano"
Aprì il cancelletto in ferro, proseguii il cortile fino al portone, un bel portone di legno, di quelli alti.
Quando aprii il portone alzai gli occhi verso l'alto, le scale erano di quelle in pietra, abbastanza strette, ma con possibilità di manovra.
Presi un bel respiro e salii.
Feci attenzione a non sbattere nelle curve e arrivai al piano con una discreta velocità.
Mi aprì una ragazza, seguita a ruota dalla madre.
Il tavolo non passava nel portone di casa, bisognava aprire l'altra delle due ante, e finalmente, con un po' di difficoltà, entrai e posizionai il tavolo, la prima metà, nel salone.
Una casa molto bella, ben arredata, con il parquet miele e le finestre tutte bianche, molto luminosa, molto spaziosa.
"Questo è un pezzo?"
"Si" risposi alla madre sorridente "Ora porto l'altra metà, arrivo subito"
Sfilai l'altra parte di tavolo dal tetto della macchina, questa volta sulla spalla destra.
La salita si faceva sentire. Gli scalini sembravano moltiplicati, e la pendenza delle scale sembrava quasi verticale.
Il sudore mi bagnò la maglietta a cui incominciò ad appiccicarsi tutta la polvere che raccoglievo strusciando sui muri durante le curve. Raggiunto il primo piano rialzai gli occhi verso l'alto...Ancora due.
Cristo, pensai, non so se la tua croce pesava di più, forse si, ma te l'hai fatto una volta sola...raccomandato.
Certo, nulla di personale eh, ma con tutti i lavori che potevi fare, con tutte le raccomandazioni che avevi, avresti potuto lavorare all'Unicredit, alle Poste, fare l'attore...niente, sei finito sulla croce...ammirevole eh, però...però, vabbè, fatti tuoi, a ciascuno il suo.
Quando arrivai al 3° piano le gambe mi bruciavano come fuoco.
"Eccoci" dissi con fiatone, mentre la signora era già seduta vicino al tavolo della cucina a preparare l'assegno.
"Fabio mi aveva detto 150?"
"Non so signora, a me aveva detto che gli doveva 200" (ci provano sempre)
"Va bene" rispose, compilò l'assegno e me lo diede.
"Bene" dissi "allora buona giornata"
"Aspetti" frugò nella borsa e prese il portafogli "Qualcosa per lei"
"No signora, non c'è bisogno, grazie"
"Ma no" insistette "Prenda"
Allungò la mano e mi diede una moneta da 1€ e due da 50 centesimi.
Ringraziai sorridente ed uscii dal portone.
2€, ma come si fa, come si fa a non vergognarsi di lasciare 2€ di mancia...meglio dire, guarda mi dispiace non ho nulla da darti, posso offrirti un caffè? Almeno per salvare la faccia...2€, boh...ora capisco perchè hai scelto la croce.
Scesi le scale a piedi per riprendere fiato, mentre giocavo con le monete in mano.
Presi il cellulare dalla tasca per guardare l'orario, erano le 5 e 10.
Arrivato alla macchina vidi un bar proprio all'angolo della strada, con dei tavolini all'aperto. Guardai i 2€ e già avevo deciso.
Una ragazza dietro al bancone mi chiese gentilmente cosa prendevo.
 (Prendo te in mezzo ai fondi del caffè) "Una birra in bottiglia, da 33."
"Sono 2€, vuoi il bicchiere?"
"No, grazie...mi posso sedere fuori?"
"Certo" mi rispose sorridendo "Accomodati pure"
Portai il collo della bottiglia alla bocca e diedi una bella sorsata. Ah, così fresca, che bello.
Accesi un sigaro e diedi un sospiro di sollievo. La macchina era a vista, se arrivava una municipale potevo spostarla subito...che si fotta la municipale, adesso penso un attimo a me.
Che giornata, il sole splendeva libero nel cielo azzurro, una temperatura fantastica.
Fissai il cielo, non c'era nulla di più bello. Magari dopo quella scarpinata con la croce, anche te ti sei fatto una birretta eh? Dì la verità...
Sorrisi, che coglione che sono, pensai...vabbè
Fumai il mio sigaro fino all'ultimo, osservando tutta la gente che passava, tutta seria, tutta presa con il loro da fare...che mondo strano. Chissà cosa penserà del mondo adesso David Gilmour, chissà che starà facendo in questo momento...
Strano ma vero, forse sono sereno.

domenica 9 gennaio 2011

Faithfulness


Forse hai paura perchè non si vede la fine
o magari come è già capitato a molti
un paio di giri e poi scaraventati via,  lontano
perchè io sono un uragano
prendo tutto quello che trovo e scuoto
lascio solo il segno.
Il problema è parte di me,
un'occasione per diventare migliore.
La fine coincide con l'inizio, un cerchio.
Non c'è tempesta a cui non ho sorriso prima.
Ma in quell' angolo che vedeva le tue spalle
in quel punto di fuga messo a fuoco
nel sudore della salita
nel carico vitale successivo al traguardo
nel traffico dei pensieri
nelle scelte
nel rischio, nella paura
nella nebbia del bivio e nella luce calda del riposo
in prima linea e appena sotto la superficie
nell' energia che ti gira intorno
c'ero io e nessun' altro.
Stammi vicino
e traccia il percorso
perchè insieme non lo rifaremo,
passo una volta sola e veloce
e se mi rimani in scia
ci metteremo un attimo,
usciremo dal tunnel ad una velocità impressionante
e ci sarà ancora aria, ancora un' altra volta.