lunedì 13 giugno 2011

Monologo al di sopra dei massimi sistemi



Quando entrai in casa c’era un silenzio appena smosso dal brusio dei pochi presenti alla cena.
La casa era accogliente e aveva un giardino, Giulia aveva sistemato fuori dei tavolini ed un gazebo, vicino il barbecue.
Le do il vino e le consiglio di metterlo in frigo, lei ringrazia e mi invita a raggiungere gli altri fuori.
Ci sono degli ulivi, ed i fiori intorno alle siepi di alloro sono molto curati, l’erba è tagliata molto corta, stile inglese e ci sono molti gerani. C’è anche una pianta di rosmarino, amo il rosmarino.
Mentre mi presento, scordando di colpo il nome di chi ho davanti ogni volta, vengo rapito da una figura femminile, che in realtà è un uomo, per la scelta forzata delle sue scarpe rosse, che sono la ciliegina del suo abbigliamento.
Ad occhio e croce siamo una dozzina.
Ci sono diverse donne, che in realtà sono uomini, e diversi uomini, che in realtà sono donne, gli unici ad essere quello che abbiamo in mezzo alle gambe siamo io e la mia amica, che è un’amica della padrona di casa, il che spiega la mia presenza alla cena di compleanno di Giulia.
Ci servono da bere, l’uomo (donna) di Giulia fa da maggiordomo(a), scelgo del vino bianco, lo accompagno con delle bruschette al pomodoro, troppo aglio (odio l’aglio, forse è l’unica cosa che non mangio).
Iniziano le domande.
“A Roberto piace fare le fotografie”  la gente spesso ha questo modo elegante di denigrare quello che fai che loro non fanno, spesso perché non sanno fare.
“Ah, ma che bravo” dice uno/a
“Lo dici sulla fiducia o hai visto qualche foto?” rispondo,
“No vabbè, è perché la fotografia è una bella cosa, non da tutti”
“Anche sterminare ebrei non è da tutti, non per questo credo che Hitler sia stato bravo, almeno da un punto di vista etico, ma grazie per la fiducia” sorrido, mi accorgo a fine frase di essere stato un po’ drastico, ma lei la prende bene.
“Cosa ti piace fotografare?” dice un altro,
“Difficile a dirsi sai, potrei fare la figura del filosofo che non sono ma se vuoi una risposta sincera te lo dico. Ricerco la verità, provando a renderle il massimo dell’ estetica. La verità è nell’arte e nella bellezza e spesso le trovo entrambe nella natura.”
“Che bello, bravo, adoro i paesaggi!” (non ha capito)
L’intervista continua, e cercando di non essere scortese continuo a rispondere, ma prima che mi annoi trovo una via d’uscita nell’osservare le manie dei presenti.
Non è che sia scortese o presuntuoso, è questa voglia di apparire interessati e amichevoli a tutti i costi che mi abbrutisce un po’, come a volermi far sentire a mio agio per forza, cosa assolutamente possibile con un po’ di silenzio, comunque…
Il tipo/a accanto a me ha l’ossessione delle mani, tra una domanda ed una risposta se le guarda di continuo, passa le dita sulle pellicine, controlla lo smalto, si assicura che siano come vuole.
Più giù, un altro/a si aggiusta di continuo i pantaloni, ha le gambe accavallate e controlla che il risvolto non si incastri sulle scarpe (lucidate a dovere), con le mani afferra un lato dei pantaloni per far scendere a dovere la stiratura sul cuoio nero.
Ma è il terzo personaggio su cui mi concentro di più.
Ha una camicia, i primi due bottoni sono slacciati per far notare il suo ciondolo.
Una collana d’argento, molto bella, tiene al collo una pietra blu, molto particolare, con delle iniziali che non leggo.
Si sistema con le mani la pietra di continuo, in modo che stia sempre al centro della camicia per renderla il più visibile possibile.
Non  trascura neanche il suo orologio, che con fare da maestro porta sempre il quadrante al centro del polso.
Gli vorrei chiedere delle iniziali, ma poi avrei dato scopo alla sua serata e di colpo perdo interesse.
Mangiamo, carne alla brace e patate al forno con delle verdure, davvero buone, faccio i complimenti alla cuoca/o e mi riverso da bere, rischio l’assenteismo, ma ne sono consapevole e me ne fotto.
La serata continua, gli esperti di bondage iniziano a legare altri amanti di bondage e tutti sono attenti a seguire quel che segue (uno/a lega con le corde uno/a).
Cristo, cosa cazzo ci faccio qui, sorrido, e mi riverso da bere.
Dopo aver appurato che non ci sia neanche un culo degno di scopata, entro nel limbo, come una mia vecchia cara amica, nel limbo si sta bene, a volte.
Cammino in un prato verso sera, la luce è calda e si respira una gran pace.
Ho con me una bottiglia di genepi, il mio genepi.
Lo agito, in modo da far rimescolare la posa al liquore.
Il grido di un falco riecheggia nella valle.
Apro la bottiglia e la porto al naso, il suo intenso profumo mi entra nei polmoni infuocando il torace, mi sento a casa.
Inclino la bottiglia e lascio cadere un po’ di liquore tra i fili d’erba.
Il primo goccio è per la terra.