giovedì 19 luglio 2012

Dead Man







Deve essere dura per le nostre montagne, aspettare i loro figli, vederli vivere e lasciarli andare via, aspettandone altri ogni volta.
Dev' esser dura anche per noi, vederci mutare ed osservarle sempre con gli stessi occhi, senza scorgere alcun cambiamento, mentre invecchiamo.
Ma loro, essendo opere d'arte vive, vivono per il loro stesso ego, per lasciarsi ammirare, mentre il tempo passa e neanche le sfiora.
Eppure che bello sarebbe essere dei giganti, come loro, per poterle abbracciare.
Anche solo una volta.

sabato 28 aprile 2012

Ora



Il suono lontano di un aereo è quasi un richiamo alla civiltà moderna in questo posto dove, dalla mattina presto, ho solo sentito grilli, cicale, uccelli di ogni tipo ed il lento muoversi delle foglie accarezzate dal vento.
Sto riverniciando delle finestre che avranno si e no 30 anni. Sono evidenti i segni lasciati dal sole e dall’acqua presi in questo lasso di tempo, ma quanto a materiale e tecnica di assemblaggio non c’è paragone con quelle moderne, a partire dalla “corsa all’oro” dei primi anni ’80, quando le cose dovevano durare poco, ed oggi, dettati dagli imperativi commerciali, ancora meno.
Una volta finito con le finestre dovrei montare una staccionata.
La tinta ed i residui della vernice seccandosi formano una pellicola intorno alle dita, come una seconda pelle. Da bambino immergevo le dita nella colla per avere quella piacevole sensazione di “spellarla” dalle mani.
Mentre la gratto via dalle unghie restituisco alle mie mani il loro aspetto originale e mi viene in mente una celebre frase di Michelangelo, la statua è intrappolata nel blocco di marmo e lo scultore non deve far altro che liberare col suo scalpello la forma ricoperta.
Continuo seduto su un tronco d’albero e mi accendo una sigaretta.
Il silenzio è tale che riesco chiaramente a riconoscere il suono della carta che brucia quando tiro.
Sono tanti i pensieri che affollano la mia mente come un fitta rete di intrecci fatta di punti interrogativi, virgole, punti di sospensione e parentesi.
La famiglia, il lavoro, che qui ha ritmi meravigliosamente umani, i rapporti con le persone, il ciclo delle stagioni, lo stress della città moderna, le religioni, il viaggio alle porte, ma è un attitudine e per quanto ogni riflessione si chiude con un sospiro non mi meraviglio della risposta indotta l’istante dopo da quello che é ormai il mio modo d’essere sereno.
Solo un punto separa le considerazioni dalla conclusione che arriva con la stessa rapidità con la quale svaniscono i miei momentanei perché.
Arroganza, inciviltà, invidia, falsità. Non mi avrete mai.

lunedì 20 febbraio 2012

Cloud


Le mie schegge hanno un nome.
Le mie mani raccontano di me, i calli sono la ruvida risposta ai legni che lavoro. È una questione di principio, quasi a voler dire che sono più dure loro, del più duro del legno.
Le mie schegge hanno nome, cognome, facce e identità, e per qualcuna conservo anche un indirizzo.
Indice sinistro: rovere, signora Tamanti, via Tigrè 15, 5° piano. una porta scorrevole.
Pollice sinistro: noce tanganica, Giglioli, via Tripolitania 136, forse 4° piano, una mensola.
Medio destro: wengè, il più stronzo dei legni, Ingelido, via Tripolitania 243, 2° piano, una porta scorrevole.
Mignolo destro: mogano, convento a viale delle Province, un palco.
I clienti dicono di me che sono " veramente una brava persona, un bravissimo ragazzo, sempre disponibile ed educato".
Già. Per carità, fa piacere.
La realtà è che sono un assassino. Ho ucciso innumerevoli volte, con un sorriso, la loro arroganza, la loro maleducazione, la loro presunzione, la loro prepotenza e quanto di più vile ho letto spesso tra i loro modi di esprimersi ed il linguaggio del loro corpo.
Poi la scheggia se ne va e con lei il ricordo del proprietario, e rimane la cicatrice in memoria del lavoro.
Non faccio distinzioni tra clienti buoni o cattivi. Ma di clienti buoni ce ne sono pochi.
Nella mia vita ho sempre sentito il bisogno di avere un senso d'arte in quello che facevo, in ogni mio lavoro. Anche il più apparentemente stupido, lo accompagnavo con questo pensiero, con questo obiettivo.
Mi ci aggrappavo, con tutto me stesso, più che un bisogno una necessità, non ne potevo fare a meno.
È una chiave di lettura, un modo d'essere, mi spinge in alto, mi fa volare libero, leggero.
Trovo l'arte in diverse cose, è un attitudine, con il tempo scopri di esserne circondato, e se metti le lenti giuste la trovi ovunque. 
Non è una canzone, né un dipinto, né una scultura, né una poesia, non solo. È celata sotto la superficie di ogni cosa, ed ha un anima libera solo per chi riesce a scoprirla, ha occhi per chi sa osservare, ed udito per chi è più disposto ad ascoltare che a dire.
Credere è arte. Il coraggio è un arte. La rivoluzione è arte, il sesso, il libero pensiero, il viaggio, l'avanguardia, l'amore è un arte.
Sorridere è un arte, ma anche saper piangere è un arte. La vita è arte, ma viverla nel suo pieno rispetto è la più nobile delle arti.
Non ho ancora ben capito il mio scopo qui, ma star bene mi basta, per ora.
Le mie schegge hanno un nome, e per quanto possano sembrare intrusi nelle mie mani senza pagare affitto, le lascio stare, tanto, prima o poi, trovano sempre la strada per andar via, da sole.

martedì 3 gennaio 2012

Sometimes


Mancavano pochi minuti a mezzanotte.
Tutta la gente andava in direzione opposta alla nostra, solo noi quattro camminavamo per le vie silenziose della città verso il mare.
Era passato un altro anno, come fosse vento, come fosse un attimo.
Barcellona è una luna piena, luminosa, circondata dal cielo scuro.
Una città di contrasti.
Svegliarsi la mattina, prendere un caffè in uno dei bar del centro, percorrere la rambla e bere un succo di frutta esotico del mercato, passare davanti agli artisti di strada e alle vetrine colorate, e poi su, fino al Parc Guell, fino a vederla dall'alto, ascoltando la musica di chi ti regala un sorriso per qualche minuto.
Ma come in una rappresentazione di Gaudì c'è molto di più, molti più colori, molte più sfumature.
Riscendere giù verso sera, quando il sole riflette la sua luce rossa tra i palazzi, un "no grazie" agli indiani che ti vendono 6 lattine di Estrella a 6€, aspettare di attraversare all'incrocio guardando i taxi che sfrecciano con la loro lucina verde di libero, lasciarsi passare dalla gente a piedi, con gli skate, con la bici o con i pattini e perdersi nei vicoli scuri della città, con i panni stesi, con i mercatini del non uso più, con le cassette di frutta ammucchiata, gli angoli pieni di consumazioni, qualche pusher vagante, e di colpo di nuovo in una piazzetta, con una chiesa, tavolini all'aperto e gente che consuma seduta o in piedi, una musica lontana di una chitarra acustica, il sorriso di una ragazza che dice hola, qualche giovane che ti invita in un locale, in un ristorante, in un pub, prevendite con ogni omaggio, l'odore di cucinato ed il fumo dalle cappe, luci colorate e qualche ragazzo che piscia negli angoli morti dei palazzi, sorrisi ed esclamazioni, quasi a fregarsene del mondo che va a rotoli, della crisi, di quanto questa vita a volte sarebbe da prendere a calci.
E alla fine, dopo l'ultimo incrocio, il mare.
Sedersi su una panchina spalle alla città, ed ascoltare.
Dietro la vita che freme e non ti aspetta, davanti il suono costante delle onde che arrivano chissà da dove.
Ed è strano ma per quanto possa sembrar frenetica, ti calma sempre.
Ma si, con una sigaretta in mano e qualche battuta scoliamo le nostre birre e salutiamo l'anno passato.
A volte, il rigurgito del dissenso trova spazio silenzioso tra le note musicali dei miei passi.
A volte sembra quasi sparire.
Questa è la mia Barcellona, la mia luna piena.