lunedì 5 dicembre 2011

Black Pool Match - #3



È tutta una questione di scie. Ognuno di noi lo è.
Ognuno di noi traccia un percorso, e ne lascia una scia al passaggio. Alcuni di noi hanno una scia luminosa e breve, passano in fretta e lasciano poco tempo per la messa a fuoco.
Altri passano più lentamente, seppur la scia sia meno luminosa e brillante rimane costante nel suo tempo e si dissolve più lentamente.
E poi ci sono scie, quelle scie, che rimangono brillanti per tutto il loro lento passaggio, offuscando le altre.
Non c’è una messa a fuoco giusta, non c’è una scia migliore di altre, quello che fa la differenza è solo la nostra messa a fuoco, quello che si vuole trasmettere, quello che si vuole evidenziare, quello che si vuole dire.
Lei era una di quelle scie e questo  Press lo sapeva. Sapeva che se si fosse soffermato su quella scia avrebbe automaticamente perso tutte le altre. Ma ormai aveva deciso e solo lei valeva più di tutte le altre scie. Quella era la foto giusta per lui, la giusta messa a fuoco, l’inquadratura giusta tra altre mille.
Il pensiero gli lacerava il cervello.
Finì la sua birra e mise il suo live preferito dalla prima traccia. Echoes suonava dolcemente tra le mura del suo soggiorno lievemente illuminato. Mise una mano in tasca e tirò fuori il suo morbido pacchetto di sigarette. Infilò il dito, niente, neanche una, finite.
Infilò la mano nella tasca del giubbotto di pelle, vuota.
Cercò nel cassetto della libreria, nulla.
Infine controllò sul tavolo, nel vassoio grande vicino ai piatti del giorno prima: bollette, multe, vari memo, un paio di accendini, bracciali, anelli, una foto, uno scontrino del Burger King, le chiavi di casa, una prevendita con omaggio del Black Pool, 3 dollari e 75 cent, un plettro, una chiave sfusa, un barattolo di aspirine, una caramella al mirtillo, due gettoni per il telefono, il numero del pronto taxi, le chiavi dell’auto, un buono carburante.
Niente sigarette.
Prese la foto di Mary dal vassoio, si diresse in cucina e girò le dita nel posacenere pieno in cerca di un mozzicone lasciato a metà. Raddrizzò la cicca con le dita e diede fuoco.
Dopo un paio di avidi tiri il mozzicone finì, e diventò rovente tra le dita.
Aprì il frigo e prese un’altra birra. Tagliò un pezzo di stagnola dal cassetto della cucina e si mise sul divano.
Dal giubbotto di pelle tirò fuori la sua pipa di vetro, la pulì con un pezzo di fil di ferro che aveva sul tavolino davanti al divano. Poi dal portafogli prese un incarto di cellophane che conteneva una pallina d’oppio, la mise sul foglio di stagnola e diede fuoco. Non appena la pallina si riscaldò iniziò ad emettere un denso fumo bianco, Press mise la pipa in bocca e tirò più volte fino a far arrivare il fumo nei polmoni. Lo trattene a lungo e lo sputò fuori lentamente. Lasciò tutto sul tavolino e si sdraiò sul divano, con la foto di Mary tra le dita. Chiuse gli occhi e si lasciò andare tra i riff elettrici della sua band.
Il suo cervello lo portò nel mezzo di un’autostrada. La pioggia scendeva velocemente ed i lampioni illuminavano appena le carreggiate con un lieve cono di luce ambrata.
Era solo, nel mezzo della linea tratteggiata. Le macchine sfrecciavano veloci ed i suoni dei clacson sparivano in un attimo tra mille echi.
L’acqua scendeva sopra la sua testa, lungo il suo giubbotto di pelle, fino alle dita delle sue mani. Nella destra teneva stretta la sua 38, con un solo colpo, perché non aveva bisogno di altro. Un colpo, un solo colpo, e avrebbe messo fine a tutti i suoi pensieri. Un solo colpo e sarebbe stato finalmente libero, un solo colpo e avrebbe ricominciato a respirare. Un solo colpo per sotterrare tutti i suoi problemi, un solo colpo per la sua più grande ossessione.
Nox gliel’ aveva portata via.
Se non poteva essere sua, non doveva essere di nessun’altro.
Un solo colpo, per Mary.

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